#SpalmareXFermareildeclino 5
Odio Vinted ma amo l'usato, una dea con un old new look e la migliore crema solare per la vostra faccia
Ciao tu, come stai?
Questo è stato un periodo un po’ strano. Non ho avuto troppa voglia di mettermi a scrivere. Quando la mia mente lavora tanto (e in questi ultimi mesi ha lavorato parecchio) non riesco a scrivere. Mi sembra di starmi sempre a lamentare di quello che non va e non ho voglia di stare a editare la mia malmostosità. Ci devo lavorare, lo so. E in qualche modo questo numero è frutto della tigna con la quale ho deciso di affrontare questa seconda parte dell’anno. Come canta Mr E in una delle mie canzoni della vita: Life is hard and so am I.
Cominciamo
OLD NEW LOOK
Come al solito arrivo dopo le palle del cane, ma lo scorso mese c’è stato il festival di Cannes. Di solito è un po’ più sbracato rispetto al glamour di Hollywood, ma alle volte succedono cose interessanti. Lei è Yseult, una cantante francese, habituée dei red carpet, che ha voluto omaggiare il new look di Dior del 1947. Il New Look (definito così da Carmel Snow di Harper’s Bazaar) fu l’inizio esplosivo della carriera di Dior, ma anche la ripartenza della moda francese dopo la seconda guerra mondiale e una nuova idea di silhuette femminile che rimase in auge fino agli anni ‘60. In un periodo in cui la moda fa un lavoro soprattutto di archivio, mi è sembrato un buon modo per omaggiare uno dei geni della couture francese.
ODIO VINTED
Uno dei ricordi più teneri che ho col mio primo moroso regolare riguarda un pomeriggio in cui non stavamo ancora insieme: io nel dramma totale dei miei 15 anni (chi sono, cosa faccio, come vivo?) che ricevo da mia madre dei soldi (avvenimento EPOCALE) per andare a comprare dei Jeans. Decido di andare a via del Governo Vecchio** e lo sventurato si propone di accompagnarmi. Del resto per me è il mio migliore amico, quindi, anche se maschio, è titolato a passare un pomeriggio con me in giro per negozi. Dopo un paio di ore in cui mi sono provata tutti i pantaloni del grottino che ci ospitava (e dopo averne comprato un paio) lui, tornato a rivedere la luce del sole, decide di prendermi la mano e di tenermela tra le sue per tutto il resto del pomeriggio. Quando la sera ho chiamato la mia allora migliore amica, le ho raccontato con dovizia di particolari tutto quello che mi ero provata al negozio e poi ho vagamente accennato alla cosa della mano, la conversazione ha cambiato subito focus. Il suo "Per me gli piaci" mesi prima dell'inizio della nostra relazione fu l'esplosione tramite cui mi interrogai sulla natura del nostro rapporto (fondamentalmente perché sono una tonna e non colgo mai nessun tipo di segnale. Non li coglierò manco da cresciuta e ci sarà sempre una fata madrina a dirmi "guarda che ti ha messo la lingua in bocca perché gli piaci, non perché pensava che stessi soffocando").
Il momento romantico serve biecamente per farvi considerare che a 15 anni una delle cose più cool che potessi fare con dei soldi era andarmi a comprare dei jeans usati. Crescere negli anni '90 ha significato vivere il periodo d'oro dell'usato: avevamo a disposizione indumenti splendidi a un prezzo ridicolo. Niente limitava la nostra creatività. Questa età dell'oro a un certo punto è terminata. Sono iniziati ad arrivare i vestiti di fast fashion. Già 15/16 anni fa si trovavano principalmente quelli (e niente di male, perché un cappotto di H&M degli anni zero probabilmente è fatto meglio di un cappotto di fascia media cucito nel 2024), ma poi, la base si è allargata ancora. Se la passeggiata al centro di Roma l'avessi fatta oggi con gli stessi soldi invece di comprare un paio di Levi's degli anni '70 sarei incappata in un jeans di Zara del 2010.
Io amo ancora l'usato, sono una grande frequentatrice di mercati e di negozi che lo propongono, per un periodo, una quindicina di anni fa, avevo pure pensato di rilevarne uno. A parte scarpe e intimo, per motivi miei, non ho mai avuto nessun tipo di problema a usare indumenti appartenuti ad altre persone. Mi piace l'idea che le cose sono fatte per restare e che probabilmente mi sopravviveranno. Mi piace la manifattura, toccare i tessuti, i bottoni, le cerniere e notare quanto siano cambiati i materiali rispetto a oggi.
Ma in questi anni la produzione tessile è cresciuta esponenzialmente e si è portata dietro un abbattimento dei prezzi. Se destiniamo lo stesso budget all'abbigliamento, rispetto a venti anni fa probabilmente compreremo più pezzi. Ma questo significa che avremo anche più rifiuti. Abiti mai indossati o indossati pochissimo che affollano i nostri armadi e i nostri cassetti. Vendere questo surplus sembra la soluzione migliore. Negli ultimi anni oltre a piattaforme come Vestiaire Collective, sono venute fuori realtà come Vinted e Wallapop, che si sono fatte conoscere tramite una comunicazione scanzonata e piuttosto aggressiva. L’idea che è alla loro base è rientrare in parte dell’investimento fatto per comprare cose nelle quali non ci riconosciamo quasi a costo zero e senza intermediari. Sembra il paradiso, eh?
Mi sono studiata il funzionamento di Vinted, ci ho caricato un po’ di cose e ho notato subito delle problematiche grandi. Intanto, l’inclusività: io sono una plus size e di cose da comprare per me non ce n’erano quasi per niente. Ci fermiamo alla taglia 48 e tanti saluti a voi grasse. Tanto mica vi vorrete vestire, no? Stessa cosa dicasi per le scarpe. Sopra il 40 (e io oscillo tra il 42 e il 43) niente di pervenuto.
Poi, le inevitabili sòle: essendo un luogo che mette in comunicazione chi compra e chi vende, il rischio di incappare in una fregatura è molto alto. Sia se si acquista qualcosa di lusso (che non viene vagliata da nessun valutatore, cosa che succede per altre realtà come Vivo Vintage o Vestiaire) sia se si acquista un capo usato normale. Io ho un occhio abbastanza buono per capire in che stato sono ridotte le cose in vendita dalle foto pubblicate perché sono venti anni che in un modo o in un altro mi occupo di resi. Ma una persona più sprovveduta che magari paga per qualcosa paragonabile a nuovo e si trova con roba pronta per il secchio come fa? Le politiche di rimborso sono abbastanza fumose, ho letto in gruppi di facebook di contestazioni che non hanno avuto un rimborso e venditori truffaldini con profili saldamente aperti.
Infine, la piaga delle persone che contrattano. Io spero che per chi contratta esista un girone a parte dell’inferno. Odio la gente che lo fa, mi sembra un segno di piccineria paragonabile a trattare male un cameriere al ristorante. Quando sono a negozio e un cliente cerca di fare la gnola e di tirare sul prezzo lo incenerisco con gli occhi, ma fare questa cosa tramite messaggio privato è molto più complicato. Vi faccio un esempio pratico: ho messo un top di Promod, indossato tre volte in totale e che mi era costato circa 25€ a 10. Più di cento persone lo hanno messo tra i preferiti, circa in settanta hanno provato a contattarmi per comprarlo, ma ognuna di queste settanta persone si era fatta uno sconto, da uno a cinque euro. Settanta messaggi uguali che chiedevano VENDERESTI QUESTO CAPO A 8 EURO?
(unica foto superstite della canottiera della discordia) (il rossetto è craving di Mac se ve lo state chiedendo)
Avrei potuto pensare a mettere un prezzo più alto e accettare delle offerte al ribasso. Solo che questa cosa avrebbe reso tutto ancora più cervellotico. Perché va bene monetizzare con cose che non usi più, ma perdere più tempo del dovuto diventa antieconomico. E anche delle perdite di tempo si dovrebbe parlare. Allora mi sono ricordata di una delle perle di saggezza che mia nonna mi ha dispensato nel corso dei nostri 18 anni di convivenza: quando parlava della torre e della vigna che erano state la causa del suo matrimonio (una storia che meriterebbe un’invio a parte della newsletter), che non ha mai voluto vendere per romanticismo, diceva a chi le chiedeva di venderla a un prezzo che a lei non andava bene “mica me chiede da magnà”. E ho iniziato a rispondere così anche io.
Alla fine la canotta di Promod l’ho regalata e su Vinted non ci ho più messo piede. Fortunat* voi che riuscite a usarlo. Io mi sa che continuerò coi mercatini.
THE CHEMESTRY BETWEEN US
Tra qualche giorno è ufficialmente estate, ci sono persone che hanno cominciato a frequentare le spiagge- la mia invidia è tutta per voi- e inizia la stagione delle domande sulla protezione solare. Le domande sulla protezione solare sono sempre uguali, anno dopo anno, quindi vado un po’ col pilota automatico. Se per caso volete fare un discorso un po’ più circostanziato chiedete nei commenti o mandatemi una mail.
Sì, ve la dovete mettere sempre. Preferibilmente da nudi prima di uscire di casa. Perché non siete sudati e rischiate di ustionarvi anche per strada (una cosa di cui si parla molto poco è l’effetto specchio ustore del parabrezza della macchina) e perché rischiate di dimenticare dei pezzi di corpo. Abbondate, deve essere una porzione generosa, non siate tirchi, tanto quello che avanza alla fine della stagione lo dovete buttare. Va riapplicata ogni paio di ore e dopo ogni bagno. Sì, anche se è waterproof.
Sì, il PAO indicato sulla confezione va rispettato. Se dice 12 mesi, dopo 12 mesi si butta anche se il flacone è mezzo pieno. Se su altri tipi di cosmetici sono un po’ più clemente, sui solari (e sulle cose che vanno negli occhi) non transigo. E non dovreste farlo neanche voi.
Bio o non bio? Il disciplinare dei solari biologici è andato migliorando negli ultimi anni e ora sono sicuri come quelli chimici. Io sulla categoria non sono talebana, usate la formula che vi convince di più, basta che li usiate (sono un po’ una lima sorda su questa cosa).
Che fattore di protezione? Io mi abbronzo facilmente e compro una 50 e una 30 per il corpo, più una specifica per il viso e uno stick protezione totale per labbra e contorno occhi. La 30 chiaramente la uso a stagione molto inoltrata e solo su braccia e gambe.
Le mie marche preferite sono Avene e La Roche Posay. Trovo ottime anche quelle Eucerin (il loro Dry Touch è quello con cui mi trovo meglio) e ISDIN per il viso (hanno fatto la Fotoprotector, il loro prodotto di punta, in versione colorata). Tra quelle da supermercato amo molto quelle di Omia, che costano il giusto e fanno benissimo il loro lavoro.
Va usata anche in città? Dipende. Se state molto tempo all’aperto, usate un contraccettivo ormonale o siete in gravidanza, sì. Se ve lo ha detto il dermatologo, sì. Se avete la pelle di Jannik Sinner, sì. Se siete amanti dell’ombra, iniziate a lavorare prima delle 8 e uscite dal lavoro a sole tramontato ne potete anche fare a meno.
Teneteli all’ombra. Non dico nella borsa frigo, ma non teneteli al sole, se andate in spiaggia. Il caldo non gli fa bene.
Dopo l’utilizzo si deve rimuovere bene (un’altra cosa di cui si parla molto poco sono le reazioni allergiche date dall’accumulo della crema solare sulla pelle) e si deve usare un doposole. Tra doposole e crema idratante non c’è molta differenza, se non che il primo si assorbe pèiù velocemente e ha degli ingredienti più lenitivi. Per il viso usate una crema all’aloe (o proprio il gel di Aloe, questo è il mio preferito della vita).
Ah, non vi devo ricordare io di non esporvi al sole nelle ore più calde e di bere tanta acqua, vero?
Ci sentiamo a luglio
Invece a proposito di Vinted, oltre a tutto quello che dici tu, a me sembra anche che non faccia nulla per scardinare un certo tipo di fast consumo: "ma sì me lo prendo tanto al massimi lo metto su Vinted", "vabbè l'ho comprato a tre euro su Vinted, posso anche buttarlo", e intanto un pacco con dentro 30 grammi di maglietta si fa avanti e indietro per l'Italia o peggio con annessi consumi ed emississioni × 2, 3, 4 e così via
Aspetto la torre e la vigna.