SpalmareXfermareildeclino #3
Una divinità vestita Mugler, un elogio funebre, il reader's digest del Festival di Sanremo e il trucco della vita per non avere le labbra screpolate
Ciao adorati cileni ripieni di zucchero*, come state? Bentornat* su Spalmare per fermare il declino, la newsletter da gustare fredda, come il gazpacho e la vendetta. Io, col ritardo che mi contraddistingue, oggi vorrei parlare di quello che è successo nell’ultimo mese: la prima di Dune, la morte di Iris Apfel e l’evento che combina Superbowl, red carpet della notte degli Oscar e Sagra del carciofo di Ladispoli, shakerato tutto insieme e guarnito con scorza di arancia, Sanremo. So che sono argomenti su cui avete avuto la timeline di tutti i social attoppata di commenti. Spero di essere un utile Bignami.
La prima di Dune (part two)
Per la seconda volta in tre numeri mi ritrovo a parlare di Dune su questa newsletter. Non entrerò nel merito del film (che ancora non ho visto) o non farò discorsi sulla genesi dell’ennesimo franchise cinematografico da materiale vintage (per quanto il primo l’ho visto e mi è anche piaciuto, nonostante il sogliola** e non solo per Oscar Isaac, che il Signore lo mantenga sempre in buona salute), ma sulla scelta di Zendaya per il red carpet della prima londinese.
Nel 1995 Thiery Mugler è all’apice della sua fama: venti anni di carriera nella moda, iniziata facendo il vetrinista, periodo nel quale è arrivato ai massimi livelli con un atteggiamento da innovatore. Per celebrare questo traguardo fa una sfilata-monstre, che passerà alla storia come le Cirque d’Hiver; 300 look, modelle di tutte le età e, alla fine, un concerto di James Brown. Verso la fine della sfilata, dopo un’orgia di vitini strettissimi e spalle ampissime, perle e raso, arrivarono anche gli alieni. Anzi, le aliene. Poteva esserci una scelta migliore per la prima di un film di fantascienza?
More is more and less is bore
Io e Giulia ogni tanto diciamo che da vecchie saremo complementari, lei sarà una signora punk come Patti Smith e io invece sarò lady caftano come Marta Marzotto. Ma esiste una terza via che mescola tutto. La notizia della morte di Iris Apfel è arrivata due giorni dopo la sua ultima foto caricata su Instagram, nella quale festeggiava i suoi 102 anni e mezzo, perché quando invecchi il concetto di tempo torna simile a quello che si ha da bambini e anche il mezzo anno conta. Negli ultimi dieci si era ricavata uno spazio piccolo ma influente nella moda. Sfilava in passerella, collaborava con brand, era stata dedicata una mostra al suo sterminato guardaroba. Era diventata una celebrità globale da anzianissima, in un mondo che ancora fa fatica a parlare dei sintomi della menopausa, e aveva uno stile molto riconoscibile composto da colore, negli abiti e negli accessori, rossetto rosso e grandi occhiali neri . Era diventata famosa prima per il suo lavoro (è stata una interior designer che tra i suoi clienti annoverava 9 presidenze degli Stati Uniti e insieme al marito aveva fondato un’industria tessile) e non perché era stata una bella donna da giovane (anzi, uno dei miti fondativi del suo personaggio è una cosa che le dissero da ragazzina: non era bella e non lo sarebbe mai stata, ma aveva stile, che era molto più importante. E lei invece di piangere e disperarsi sulla sua assenza di bellezza ha deciso di accentuare quello stile che la rendeva unica).
Sembra stupido dispiacersi per una sconosciuta molto anziana che muore, soprattutto in un contesto di ansia e guerra come quello che stiamo vivendo. Forse è proprio il non poter più contare sulla sua presenza chiassosa e colorata a rendere il mondo un po’ più spento. Ma ora, un po’ anche grazie a lei, siamo un esercito a portare scompiglio, capelli bianchi e braccialetti tintinnanti fregandocene di quello che pensa la gente.
Lo strano caso della sparizione della camicia da uomo dal palco di Sanremo
Mia madre mi raccontava che quando era giovane, nei primi anni ‘60, Sanremo serviva come guida di massima per i vestiti da indossare ai veglioni di Carnevale. Il festival era molto più immediato dei giornali di cartamodelli e se si aveva una brava sarta a disposizione il giovedì grasso si poteva sfoggiare un vestito simile a quello di Gigliola Cinquetti. Negli anni questa caratteristica si è trasformata ma non è scomparsa: ricordo ancora con sgomento i pantaloni col tanga incorporato dell’anno della mia maturità (colpa di Anna Oxa, savasandir) o i capelli maculati di Annalisa Minetti (a tal proposito, ricordo uno dei tentativi di approccio più assurdo che mi sia mai capitato: via del Corso, di sabato pomeriggio, un ragazzo cerca di attirare la mia attenzione con le immortali parole mora, vie’ qua che te faccio maculata come ‘a Minetti. Ero in ritardo e non sono riuscita ad approfondire, ma sono quasi trent’anni che mi chiedo COSA AVRA’ VOLUTO DIRE?). Negli ultimi anni, complici i social, Achille Lauro e il covid, gli abiti dei cantanti devono raccontare una storia o quantomeno essere coerenti con la canzone che si canta e succede di frequente che, contestualmente all’esibizione, venga proposta una specie di infografica tramite post su Instagram con la spiegazione di quello che stiamo guardando in diretta.
Quest’anno la proposta femminile è stata in linea con la canzone vincitrice, la noia, e le cose più interessanti si sono viste coi maschi; la gonna di Mengoni, certo, ma anche i total look Moschino di Dargen D’Amico, l’outfit di Loewe di Ghali e addirittura una svolta modaiola del Volo. Abbiamo assistito a un cambio generazionale: dai quaranta in su (Negramaro, Renga e Nek e anche Dargen) si rimane nella tradizione del completo formale, svecchiandolo coi colori, mentre i maschi giovani, se non portano la tuta, si sono liberati delle cinquanta sfumature di broccato sulla giacca, cifra stilistica di Amadeus, per abbracciare soluzioni più fluide, in cui spesso la camicia non è pervenuta e la giacca è appoggiata direttamente sull’addominale. Poi, a voi il giudizio su ciascun pettorale nudo. Io, se proprio devo scegliere, opto per quello di Alessandro de Santis dei Santi Francesi.
Gli Spot del nostro Superbowl
Sanremo è il programma più visto dell’anno della televisione italiana e da qualche anno (non tantissimi in verità) vengono presentati degli spot pubblicitari che sono esclusivi per la kermesse o che sono lanciati in anteprima durante le serate del festival. Quest’anno per me il migliore è stato quello di Airbnb, che ha velatamente sollevato il problema della mancanza di intimità sessuale tra i genitori quando si va in vacanza coi creaturi e si opta per una camera di albergo invece che per una casa intera. Senza entrare nello specifico di tutti gli spot che sono andati in onda nelle serate del Festival (anche perché sennò mi toccava aprire il vaso di Pandora e dire quello che penso degli artigiani della qualità) ne ho analizzati tre. Non sono una pubblicitaria o un’esperta di comunicazione, il mio è solo il giudizio di una persona che guarda molta televisione e che conosce un po’ il mondo del beauty.
Sephora
Da qualche anno, nei punti vendita di Sephora , ci sono delle foto pubblicitarie un po’ bislacche. Un tentativo di celebrazione della bellezza vera attraverso sorridenti modelle col diastema o bellissime donne coi capelli grigi e qualche ruga nella zona del contorno occhi che per truccarsi invece dei pennelli hanno usato la cazzuola. Blando tentativo per risultare un negozio più inclusivo di altri, di cui si può apprezzare lo sforzo ma che è stata un’occasione sprecata. Questo spot invece, che trovo bellissimo, è molto più riuscito. Parte dalla domanda tipica che si fa la popolazione maschile e cioè che succede quando le donne vanno al bagno insieme? Succede questo. Magari senza corpo di ballo.
Pupa
Questo è molto più classico, nel racconto della storia: è una citazione della scena finale del Laureato (senza chiudere tutti in chiesa come fa Dustin Hoffman) solo che invece che con un altro, la sposa scappa con una donna. Esiste un problema di rappresentazione del mondo lesbico nel nostro paese e Sanremo sta creando qualche breccia ospitando artiste queer. Non so se questo spot ha avuto una vita dopo il festival, ma kudos a Pupa per aver buttato la bomba anche fuori dall’Ariston.
Veralab
Cristina Fogazzi è un personaggio che si ama o si odia, ma le va riconosciuto che abbia costruito qualcosa di enorme dal nulla mettendoci la faccia. Per il secondo anno Veralab decide di investire nella settimana di Sanremo con uno spot. Quello dello scorso anno aveva come protagoniste una madre e una figlia adolescente che parlano di bellezza sul divano. Non si vedeva un prodotto e neanche la fondatrice. Quest’anno invece la comunicazione è tutta giocata sullo spirito di squadra del team, che usa i prodotti dell’azienda da cui lavora. Alla fine si intravede anche Cristina con la sua frangettona e una camicia di un colore quasi identico a quello del logo di Veralab che mi ha ricordato un po’ l’etat c’est moi di Luigi XIV (e secondo me non è neanche un caso che ci abbia messo la frangia dopo aver annunciato l’ingresso di un fondo nel Cda dell’azienda, notizia uscita qualche giorno prima di Sanremo).
The chemestry between us
Avete sempre le labbra screpolate, i burri di cacao non vi fanno nulla, non sapete più a che santo votarvi? Andate in farmacia, comprate il miele rosato (se avete un bambino in dentizione è possibile che qualcuno ve lo abbia consigliato per frizionargli le gengive e magari è già nel vostro bagno). Prima di andare a dormire passatevelo sulle labbra con un pennellino da rossetto (ma va bene anche un cotton fioc). Poi fatemi sapere se avete risolto.
Cosa posso fare per te?
Valentina, la mia socia di Strategie Prenestine, mi ha fatto il trappolone (oltre ad avermi portato un numero consistente di nuove iscrizioni-grazie, gente nuova, per la fiducia). Mi ha chiesto di scrivere una cosa per la sua newsletter e mi ha presentato così
Io aiuto da sempre le persone a fare acquisti. Lo faccio da sempre perché mi diverte. Ora lo vorrei far diventare un lavoro, quindi se vuoi un occhio equilibrato sui tuoi acquisti per il cambio di stagione, se ti serve una mano per un’occasione speciale, se vuoi che ti aiuti a capire come fare pace con il tuo armadio (e col tuo armadietto dei cosmetici) mandami una mail. Anche se non sei di Roma vediamo di trovare una soluzione.
Grazie di avere letto fino a qui, questo mese ho scritto tantissimo :) ci sentiamo a inizio Aprile con Prove Tecniche di Trasmissione.
*se non avete capito mi complimento con voi per l’impermeabilità della vostra camera anecoica, comunque parlavo di questa roba qui di cui vedete il video qua sotto
** nomignolo che la mia amica Elisa ha appioppato a Thimotée Chalamet e che a me sembra molto calzante
Recentemente ho sentito/letto/visto qualcuno dire che Zendaya piace solo alle donne e, in effetti, credo sia un po’ la Sandra Bullock contemporanea: per me è una dea, ma non ho sentito tanti uomini che le proporrebbero i capelli maculati di Annalisa Minetti. (credo di avere un’interpretazione, me la tengo per quando ci parleremo dal vivo 😬)
Di questa uscita pure io coglierò A PIENE MANI il miele rosato. Il catcalling con la proposta di capello maculato è una roba *volgarissima* che non ti starò a spiegare qua.