#13 nel magico Paese del Sol Levante
Prima uscita del secondo anno e primo episodio di un nuovo format. Un numero speciale croccante come una pesca. O come della tempura fatta a modino. Può contenere sante giaculatorie
Ciao, tu. Come stai?
Io mi sento nella fase di rilascio di una fionda o di un elastico. Ho preso la mira, ho tirato, la mia munizione è andata fuori dalla traiettoria. In altri momenti mi sarei disperata, avrei continuato a mirare e a tirare fino a stremarmi. Oggi, complici il caldo assassino che fa a Roma in questo periodo e l’aver realizzato che tutto quello che poteva andare male effettivamente ci è andato, mi è salito un profondo sentimento di STICAZZI. Il mio padre spirituale - sì, ho avuto una fase religiosa breve ma intensa- diceva sempre che ripetere STICAZZI più volte quando le cose vanno non come ci si aspetta era la più alta forma di preghiera. La chiamava la Santa Giaculatoria. Devo dire che ho riprovato a praticarla dopo quasi venti anni e ancora funziona. Se volete provare a dare un twist mistico e un po’ coprolalico a questo mese di agosto ora sapete come fare.
Questo è un numero speciale, con una struttura diversa. Volevo parlare da tempo di un libro piccino che mi è piaciuto molto. Si intitola A Tokio con Murakami e lo ha scritto Giorgia Sallusti. Io Murakami non l’ho mai letto. O meglio, ci ho provato; la mia amica Elisa quando ancora non era la mia amica Elisa, la prima volta che è venuta a dormire a casa mia, mi ha recato in dono una copia di Tutti i figli di Dio danzano. L’ho cominciato e ho capito che non era roba per me. Mi sono tenuta alla larga dalla produzione di Murakami da quel momento, anche quando tutti ne tessevano le lodi. Il mio non era un rifiuto a priori, era necessità di tempo e spazio per farmi un’idea mia. Questo tempo non è ancora quello presente, vivo ancora in un universo demurakamizzato, ma questa guida mi ha fatto venire un po’ di desiderio di leggerlo. Giorgia ha fatto anche la curatela di una raccolta di saggi molto interessante su anime, femminismo e queerness e ha scritto e letto Yamato, un podcast di Emons Record che è una specie di guida al Giappone attraverso i suoi clichè. Volevo dedicarle un numero monografico di PTT a tema, solo che non volevo parlare io (anche perché so una sega io del Giappone, a parte qualche cosa su teatro e cinema studiata ai tempi dell’università).
A luglio mi è capitato di andare a una presentazione proprio di a Tokio con Murakami e mi è venuta un’idea. L’ho sentita parlare. Io sono andata a centinaia di presentazioni di libri e poche volte ho sentito una persona parlare non tanto per incensare il suo lavoro ma per seminare curiosità in noi che la ascoltavamo. L’uditorio non era molto ampio, ma ho sentito un’energia che è piuttosto rara da ricreare. Le ho chiesto di raccontarsi attraverso cinque oggetti. Queste sono le risposte che mi ha inviato ed ecco a voi il primo numero di
My Favourite Things: Giorgia Sallusti
Un vocabolario di giapponese
Sono stata, e sono ancora, un’avida collezionista di vocabolari e dizionari e un’appassionata di glossari. Ho questa strana cognizione dei vocabolari come libri perfetti, perché contengono tutte le parole, e ogni parola racconta una storia. Nelle lingue giapponese e cinese grazie agli ideogrammi queste storie vengono spesso narrate sia dalla loro realizzazione grafica, sia dal suono che a loro appartiene. Ogni vocabolario che possiedo ha al suo interno appunti, sottolineature, segnalibri. Ne ho con Doraemon, ne ho di più austeri, ne ho di grandi e pesanti con lettere in oro, o miniaturizzati da portare nel palmo della mano. Le parole sono tra le mie cose preferite, e non a caso ne ho fatto un lavoro, quando scrivo e soprattutto quando traduco, in un lungo viaggio attraverso i testi da manipolare.
Un tatuaggio di Arale
Ho un approccio asimmetrico ai tatuaggi, tutto il braccio sinistro, tutta la gamba destra, e niente agli altri arti. Ne ho uno, forse quello che mi capita più spesso sotto gli occhi, che è Arale, protagonista di un manga di Toriyama Akira dal titolo Dr Slump e Arale. È stato il primo manga che ho comprato e temo resterà sempre come il mio preferito. I fumetti – soprattutto quelli giapponesi, ma non solo: sono stata un'ossessiva lettrice di Diabolik – sono impilati in bella mostra nel mio salotto, proprio sotto il peluche parlante di Teddy Ruxpin che mi osserva e mi ammonisce di non uscire mai dagli anni Ottanta.
Un libro: Il Signore degli Anelli
Ci sono alcuni libri che cambiano la vita, nel mio caso sono due e l'hanno cambiata in modi piuttosto specifici. Uno è Bussola di Mathias Enard (tradotto da Yasmina Melaouah per E/O). Racconta di un musicologo e orientalista viennese alle prese coi ricordi di una vita passata in Medio Oriente. Dopo quel libro ho cominciato a studiare la lingua araba e mi sono occupata con più consapevolezza di letterature femminili e femministe del Nord Africa e del Medio Oriente (quella zona che noi chiamiamo MENA), ho viaggiato in Tunisia e in Egitto, e da Tunisi ho scritto un reportage su un festival di arti queer. Continuo a coltivare questo mio lato più mediterraneo con le traduzioni che scelgo, voci della diaspora arabofona che decidono di scrivere in un inglese.
Un po' più indietro nel tempo è stato Tolkien ha mostrarmi un'altra strada: credo intorno al 1995, ho letto Lo hobbit e Il Signore degli Anelli che mi aveva prestato un compagno di classe, e da quel momento non ho mai smesso di rileggerli, e di cercarli in tutte le sessioni di Dungeons & Dragons messe su in quasi trent'anni di giochi di ruolo. Non credo che smetterò. Del Signore degli Anelli possiedo diverse edizioni, perfino in svedese e giapponese, molte in inglese. La mia preferita è proprio una copia in inglese che ormai è tutta consumata.
Gli occhiali da lettura
Sono diventata presbite (ho quarantatre anni) anche se mi dico che è perché quest'anno ho letto tanto e scritto troppo al computer. Con un'impennata di mitomania attribuisco il calo della vista al fatto che a novembre del 2023 è uscito un saggio che ho curato per Asterisco, Genere e Giappone. Femminismi e queerness negli anime e nei manga e a gennaio del 2024 una guida letteraria di Tōkyō, A Tōkyō con Murakami (Perrone), che ho scritto con grande divertimento, e ho rivisto e corretto nelle notti giapponesi dal cellulare tentando di tener dietro al fuso orario. Ho continuato a scrivere ancora per cose che usciranno in autunno, quindi diciamo che porto gli occhiali come strumento di lavoro. Non perché ho superato i quaranta.
Il riso
Chi mi conosce mi prende spesso in giro per la dieta monocromatica – se potessi mangerei solo riso, latte e patate – ma il riso ha un sacco di cose da raccontare. Durante uno dei viaggi in Giappone, ricordo di aver passato una serata a scroccare assaggi di riso in un grande magazzino che offriva piccole palline come degustazione dei vari tipi di cereale. Sono poi passata agli assaggi di sottaceti e di bianchetti essiccati, per una cena completa e del tutto gratuita. Le meraviglie della vita da studente.
Il riso racconta anche storie collettive, per esempio in Giappone durante la guerra e nei primi anni successivi diventa un alimento raro, perché le coltivazioni sono state distrutte o sono andate alla malora. Si trova però di sottobanco al mercato nero di Ameyoko, nella capitale. La polizia fa spesso delle retate – se ne racconta una nel maggio del 1946 con più di seicento agenti per le strade – e gli ambulanti finiscono per qualche notte in prigione, con la merce confiscata. A farne le spese sono soprattutto le katsugiya, le «portatrici», donne che trasportano il riso di contrabbando dalle campagne in città. Perfino i poliziotti sembrano riluttanti a prendere provvedimenti contro queste ragazze che cercano solo di tirare a campare. Tutto per un pugno di riso.
Vi è piaciuto l’esperimento? Fatemi sapere. Ci sentiamo a ferragosto con Spalmare <3
Io nel frattempo Murakami ho smesso di leggerlo, ma comunque ❤️
Mi piace assai il nuovo formato! (E comunque, viva il riso, sempre 🍚)